Giovani Comunisti di Sinistra Comunista*

per una svolta a sinistra tra i Giovani Comunisti!

domenica 13 febbraio 2011

Uno scatto d'orgoglio per Rifondazione Comunista

Il dibattito suscitato dall’appello pubblicato sul Manifesto per “ricostruire il Partito Comunista” è quanto mai utile per trarre un bilancio sul nostro movimento in Italia, a novant’anni anni dalla fondazione del Partito Comunista d’Italia, a venti dalla fondazione del Partito della Rifondazione Comunista e nel pieno di una profonda crisi globale del capitalismo.

Questo bilancio non è mai stato seriamente svolto, seppure durante il Congresso di Chianciano era stata rilanciata l’idea che i comunisti in Italia dovessero tornare ad agire, teorizzare ed organizzarsi sulla scorata di elementi scientifici, che ripristinassero la concezione rivoluzionaria del marxismo. Tutto questo non è stato fatto ed anzi, ancora una volta, per alcuni questo processo ha significato la proposizione di un vuoto “identitarsimo”, molto moderato nelle pratiche, mentre per altri un inutile orpello da cui sbarazzarsi, in virtù del “realismo politico”.

L’Ernesto ha disvelato la propria concezione di Partito Comunista: un’organizzazione di dirigenti, con molta nostalgia e molto poca progettualità. Allo stesso modo, le risposte che da varie parti sono provenute, tra tutte quella di Claudio Grassi, evidenziano chiaramente quali sono state le ragioni di una scelta scellerata come quella dell’Ernesto.

Se ad un partito di soli quadri il compagno Grassi vuole opporre una federazione della sinistra, in cui si riunificano i due partiti comunisti, semplicemente su logiche elettorali e verticistiche, noi sentiamo l’esigenza di proporre un camino alternativo. Un cammino in cui la Rifondazione comunista trovi un nuovo slancio ideale e politico.

L’unità dei comunisti e della sinistra anticapitalista sono due necessità storiche imprescindibili. E’ chiaro a tutti, però, che la seconda dipende inesorabilmente dalla prima. Ma cosa significa “unità” per i comunisti? Prendere un contenitore con l’etichetta comunista e sommarlo ad un altro che sembra uguale?

No, decisamente no! Il problema non è organizzativo, ma teorico e politico!

Unire i comunisti per noi significa innanzitutto condividere un percorso con basi teoriche solide, che abbia una sua disciplina organizzativa ed una sua coerenza pratica, che sia riferimento politico per le masse e che sappia proporre quotidianamente una prospettiva rivoluzionaria. Questi primi elementi non li abbiamo riscontrati né nella proposta dell’Appello né nella replica di Grassi.

Unire i comunisti deve voler dire anche avere una chiara concezione del partito, delle istituzioni, dei movimenti e del sindacato. Un Partito che non “navighi a vista” di territorio in territorio, di congresso in congresso, di elezionein elezione, lacerato da burocratismo, frazionismo e disorganizzazione militante, ma che sia strumento efficace e dinamico per la lotta di classe.

Riteniamo che una cosa che ci distingue profondamente dai compagni dell’Ernesto e del Pdci sia la concezione delle istituzioni, che non sono un fne, ma un mezzo. Le istituzioni sono strumenti per contrastare all’interno dello Stato borghese le dinamiche di potere capitalistiche.

Così come riteniamo che nei movimenti non vadano ignorati, perché è giusto operarvi all’interno nel tentativo di divenirne il motore propulsore, per costruire una coscienza rivoluzionaria di classe. Infine, sul sindacato, dove il Pdci spesso sostiene posizioni poco conflittuali, posate su pratiche di accordi di potere con le burocrazie sindacali, siano un altro punto di distanza. I comunisti devono spingere i lavoratori allo sciopero generale ed alla coscienza rivoluzionaria. Il nostro obiettivo dev’essere ricostruire un sindacato che stia sempre dalla parte dei lavoratori senza tentennamenti o ambiguità, che con coerenza e realismo lotti per unire la classe lavoratrice nella battaglia dei diritti e della redistribuzione.

Quindi, per noialtri l’unità dei comunisti diviene, innanzitutto, un’esigenza teorica e pratica, piuttosto che organizzativa. Riteniamo inoltre ridicolo risolvere il problema scindendosi da un partito ed entrando in un altro, come se la questione fosse di ceto politico.

Il mondo va incontro alla barbarie. Il nostro patrimonio è un Partito che ha resistito dalla sua fondazione a ben tredici scissioni, che ha difeso parte della militanza comunista, nonostante il liquidazionismo che da vent’anni impera a sinistra; che ancora oggi, dopo le batoste elettorali, mantiene un dignitoso radicamento nei territori nei luoghi di lavoro, nelle associazioni di massa, nei sindacati e nelle istituzioni. Rifondazione resiste, ed è un dato di fatto fondamentale per qualsiasi ulteriore riflessione!

Occorre dunque uno scatto d’orgoglio, non una scissione, per ridare il nostro partito ai lavoratori, per riprendere su larga scala una pratica militante, che dal basso viene richiesta da più parti e che dall’alto troppo poche volte viene ripresa e rilanciata. Come iscritti e militanti del PRC dobbiamo costruire collettivamente una prospettiva teorica chiara, valorizzando i compagni validi e abbandonando dinamiche carrieriste. Non dobbiamo ricorrere a tatticismi, che poco influenzano il corso della Storia.

Il nostro obiettivo, con umiltà, non deve essere riunificare i sedicenti partiti comunisti, che sposano solo logiche opportunistiche, ma unire i comunisti e le masse, riproponendo con forza un orizzonte di cambiamento: il socialismo.

L’unico vero modo per unire i comunisti e la sinistra, è dare nuova linfa alla Rifondazione comunista, che non è un percorso che ha esaurito la propria spinta propulsiva, ma è un processo storico, che da marxisti dobbiamo coerentemente perseguire.

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